MELFI, UN LAVORATORE: “MA COME PENSATE CHE UN OPERAIO POSSA ACQUISTARE UN’ELETTRICA?”
Sono tempi di grande incertezza per lo storico stabilimento Stellantis di Melfi. Fra quest’anno e il 2026 la Jeep Renegade e la Fiat 500X usciranno dalle linee di montaggio per lasciare spazio solamente ad auto elettriche. “Per ora perdiamo solo 300 euro al mese in busta paga, ma in futuro potrebbe andare anche peggio”, ha raccontato un operaio “in riposo”, parlando con i microfoni di Basilicata24.it. Il turno di notte è stato per ora sospeso, di conseguenza la squadra che era destinata a quel turno è costretta ad una settimana di riposo “forzato”, durante il quale lo stipendio è più basso del solito. “Qui a Melfi lavoreremo su 5 modelli elettrici – racconta ancora il lavoratore – se il Governo non stanzia seriamente gli incentivi, cosa dobbiamo aspettarci di qui a 3 anni?”. Quindi conclude con una domanda decisamente lecita: “Diversi anni fa con 4mila euro di incentivi sul Gpl riuscivi a comprare un auto, ora invece con la transizione, come pensate che un operaio possa acquistarla e tenere in piedi quella che sarà l’automotive del futuro?”.

COME SCHIAVI: GLI OPERAI DEL CONGO SFRUTTATI PER PRODURRE LE AUTO ELETTRICHE
Pierre è un operaio congolese. Ogni mattina va al lavoro nella vivace e polverosa città di Fungurume, nella cintura mineraria meridionale della Repubblica Democratica del Congo. Pierre estrae il cobalto, uno dei minerali più ricercati al mondo nonché uno degli ingredienti chiave nelle batterie che alimentano la maggior parte dei veicoli elettrici. Guadagna poco più di due euro al giorno. “La miniera guadagna così tanto e noi così poco”, dice Pierre al quotidiano The Guardian che ha svolto un’inchiesta sul tema. La miniera per cui lavora Pierre è una delle più grandi del Paese, di proprietà all’80% della società cinese China Molybdenum (CMOC) da cui acquistano alcuni dei principali produttori di auto elettriche del mondo, tra cui Tesla, VW, Volvo, Renault e Mercedes-Benz. L’anno scorso, circa il 70% del cobalto mondiale proveniva dalla RDC e la stragrande maggioranza – 93.000 tonnellate su 100.000, secondo Benchmark Mineral Intelligence (BMI) – proveniva da miniere industriali su larga scala.
STATI UNITI: L’INDUSTRIA PETROLCHIMICA E L’AUMENTO DEI TUMORI.
L’industria petrolchimica e dei combustibili fossili nell’area della Louisiana, conosciuta come “Cancer Alley”, ha devastato la salute, la vita e l’ambiente dei residenti, ha affermato Human Rights Watch. La ricerca documenta elevati tassi di aborti spontanei, malattie respiratorie, cancro e altri problemi legati all’inquinamento atmosferico e alle operazioni industriali. Si critica l’inadeguatezza delle autorità di regolamentazione nel proteggere la popolazione e si chiedono azioni urgenti da parte dei governi, compresa la transizione verso fonti energetiche sostenibili e misure immediate per proteggere la salute dei residenti. “L’industria dei combustibili fossili e quella petrolchimica hanno creato una ‘zona di sacrificio’ in Louisiana”, ha affermato Antonia Juhasz , ricercatrice senior sui combustibili fossili presso Human Rights Watch. “L’incapacità delle autorità statali e federali di regolamentare adeguatamente il settore ha conseguenze disastrose per i residenti di Cancer Alley”.
A MANHATTAN SI PUÒ CARICARE L’ELETTRICA A 500 KW. OBIETTIVO 300 KM DI AUTONOMIA IN CINQUE MINUTI
Una start-up americana chiamata Gravity ha aperto un punto di ricarica per auto elettriche a Manhattan, offrendo la più alta velocità di ricarica negli Stati Uniti e forse nel mondo, con colonnine che possono ricaricare le vetture in corrente continua fino a 500 kW. Situato in un vecchio garage ristrutturato, il punto di ricarica ospita 24 colonnine ad alta potenza ed è anche uno showroom per l’azienda. Nonostante la grande potenza, Gravity non ha dovuto richiedere modifiche alle linee elettriche del quartiere. Google ha investito nella start-up nel 2023, supportando il suo piano di espansione. Gravity si ispira al successo dei Supercharger di Tesla e mira a creare una rete diffusa di punti di ricarica per spingere i produttori di auto elettriche a migliorare le prestazioni di ricarica dei loro veicoli.
SOLO IL 38% DELLE CASE ITALIANE POTREBBE INSTALLARE UNA COLONNINA DI RICARICA PER AUTO ELETTRICHE
Uno studio condotto da idealista, il principale portale immobiliare in Italia, rivela che la mancanza di garage o posti auto adatti all’installazione di sistemi di ricarica per auto elettriche rappresenta una sfida significativa per la mobilità elettrica nel Paese. Circa il 62% delle abitazioni in Italia non dispone di garage, rendendo difficile l’accesso ai veicoli elettrici per l’uso quotidiano. Le province con la maggior disponibilità di garage adatti alla ricarica sono principalmente nel Veneto, mentre le città principali come Roma e Milano hanno percentuali al di sotto della media nazionale. Lo studio si basa su 1,3 milioni di annunci immobiliari pubblicati nel 2023, ed è stato condotto da idealista/data, il servizio di idealista rivolto ai professionisti immobiliari.
NON È VERO CHE TUTTE LE CASE AUTOMOBILISTICHE PRODURRANNO «SOLO ELETTRICO» ENTRO IL 2035
Angelo Bonelli, co-portavoce e deputato di Europa Verde, ha criticato le politiche ambientali del governo Meloni, in particolare l’opposizione al divieto di immatricolazione di nuove auto a benzina o diesel dall’UE dal 2035. Secondo Bonelli, «tutte le industrie automobilistiche del mondo» hanno già annunciato di voler produrre solo auto elettriche: alcune entro il 2030, altre entro il 2035. Tuttavia, la verifica di Pagella Politica mostra che alcune aziende, come Stellantis e Ford, mirano a vendere solo auto elettriche entro il 2030, ma solo in Europa. Volvo e Peugeot, invece, si sono impegnate a vendere solo auto elettriche entro il 2030. Altre case automobilistiche hanno obiettivi meno ambiziosi, come BMW e Volkswagen.
DOBBIAMO PREOCCUPARCI DELLA CARENZA DI MECCANICI PER LE AUTO ELETTRICHE?
Un recente focus dell’agenzia di stampa Reuters ha evidenziato una carenza di meccanici specializzati e di officine indipendenti nel settore dell’auto elettrica, insieme agli elevati costi di formazione per i tecnici. Questa carenza globale impedisce ai proprietari di veicoli elettrici di accedere a servizi di manutenzione convenienti, costringendoli spesso a rivolgersi alle costose officine dei concessionari. L’IMI e altre organizzazioni stanno cercando di affrontare questo problema offrendo corsi di formazione, ma si prevede comunque una carenza di professionisti specializzati nei prossimi anni. I grandi gruppi del settore stanno rispondendo con strategie a lungo termine, come corsi offerti da Tesla e programmi di finanziamento per la formazione dei meccanici. In Gran Bretagna, si sta cercando di ottenere finanziamenti governativi per sostenere le officine indipendenti nei costi di formazione, riconoscendo l’importanza di preparare la forza lavoro per il crescente mercato delle auto elettriche.
SE L’AUTO ELETTRICA È TROPPO VANTAGGIOSA IL TRASPORTO PUBBLICO RISCHIA DI ESSERE PENALIZZATO
La Norvegia è il paradiso delle auto elettriche. Negli ultimi anni le vendite hanno superato quelle delle auto a benzina grazie a generosi sussidi e una vasta rete di ricarica. Ma la transizione non è priva di conseguenze. Gli incentivi hanno reso il trasporto privato più competitivo rispetto a quello pubblico, mettendo in discussione le strategie di mobilità locale. Non solo: le promozioni per i veicoli elettrici hanno ridotto i fondi disponibili per investire in miglioramenti del trasporto, perché i bilanci del trasporto pubblico norvegese sono in parte finanziati dai pedaggi stradali che il governo nazionale ha cancellato per i proprietari di veicoli elettrici. Con l’acquisto di veicoli elettrici da parte di un maggior numero di norvegesi, le entrate del trasporto sono diminuite, mettendo a rischio investimenti importanti come la nuova linea della metropolitana di Oslo.
TROPPO SILENZIOSE?
Mario chiede: “quanti investimenti di pedoni da parte delle “silenziose” auto elettriche ci dovranno essere, prima che si installi un avvisatore per i pedoni? Grazie“ Dal luglio 2021 la UE ha reso obbligatorio per tutti i veicoli elettrici a 4 ruote di nuova omologazione un sistema acustico, Avas. Si tratta della normativa ECE n.138, che rende obbligatorio l’Avas a velocità inferiori ai 20 Km/h. Il dispositivo sonoro si deve attivare anche in retromarcia e dev’essere compreso tra almeno 56 decibel e un massimo di 75 decibel. Non può in alcun modo essere disattivato ad opera del guidatore. Oltre i 20 km/h di velocità, questo suono artificiale non è più necessario, perché bastano il rumore di rotolamento degli pneumatici e quello aerodinamico. Ma in molti modelli del Gruppo Volkswagen, per esempio, si è scelto di aumentare l’E-noise fino a 25 km/h. Per poi ridurlo gradualmente fino ai 30 km/h, quando è sostituito appunto dal rumore generato dal veicolo in movimento.
QUANTO COSTA RICARICARE L’AUTO ELETTRICA RISPETTO AL PIENO DIESEL O BENZINA?
Altroconsumo, l’associazione dei consumatori, ha svolto un’indagine comparativa tra i costi di ricarica delle auto elettriche e i costi di rifornimento di benzina e gasolio. Dall’indagine emerge che la ricarica a casa tramite un wallbox è l’opzione più conveniente, mentre la ricarica presso colonnine pubbliche, specialmente quelle ultrafast, risulta più costosa. Inoltre, i costi di percorrenza delle auto elettriche sono più convenienti di quelli delle auto a combustione interna. Anche in scenari di utilizzo più intensivo, le auto elettriche rimangono più convenienti. L’associazione invita a utilizzare il “bonus colonnine” per ottenere un rimborso sull’acquisto di una stazione di ricarica privata.
OLTRE ALLE COLONNINE DI RICARICA SERVE UN’ASSISTENZA ADEGUATA
Andre Mayer è un giornalista della CBS. Ha messo alla prova la “Canada’s Electric Highway”, la rete di ricarica dell’azienda energetica Petro-Canada che promette di attraversare il Canada da una costa all’altra, vivendo un’esperienza frustrante. La prima volta ha avuto difficoltà a usare l’app e la carta di credito per avviare la ricarica. L’impiegata non ha saputo dare indicazioni e si è scusata dicendo che le colonnine sono di un gestore esterno. La seconda volta ha avuto un problema con il software. Ha chiamato l’assistenza, che ha promesso di mandare qualcuno a controllare la colonnina… entro la settimana successiva.
Cara Clairman, CEO di Plug ‘n Drive, un gruppo no-profit che si occupa di veicoli elettrici, ha dichiarato che molte aziende si limitano a ospitare queste stazioni di ricarica, senza conoscerne il funzionamento. Per servire meglio un mercato EV in crescita, l’infrastruttura deve essere migliorata, ha detto Clairman, in particolare per quanto riguarda l’offerta di più di una stazione di ricarica rapida in un determinato luogo.
JOHAN MULLER: SETTE LEZIONI CHE HO IMPARATO DURANTE IL MIO VIAGGIO DI 1.500 MIGLIA IN AUTO ELETTRICA
Durante un viaggio di 1.500 miglia in un’auto elettrica, ho appreso importanti lezioni, a partire dall’adottare una nuova mentalità, più flessibile. I punti di ricarica non sono dove ci si aspetta di trovarli, spesso situati in parcheggi di centri commerciali o luoghi turistici piuttosto che nelle tradizionali aree di servizio. Le app di pianificazione del percorso sono state utili per individuare le stazioni di ricarica lungo il percorso. Non ci sono molte comodità vicino ai punti di ricarica e la sicurezza può essere una preoccupazione, specialmente di notte. La velocità di ricarica può variare notevolmente a seconda del caricabatterie utilizzato, e il costo della ricarica fuori casa può essere significativo, sia in termini finanziari che di tempo. Nonostante le sfide, incontrare altre persone durante la ricarica è stata un’esperienza positiva, e ci sono prospettive di miglioramento nella comodità e nell’accessibilità della ricarica, con investimenti in una rete nazionale di ricarica e l’espansione delle reti di aziende come Tesla, Electrify America, EVGo e ChargePoint.
NON È VERO CHE IL CLIMA NON INTERESSA A NESSUNO
Uno studio pubblicato nel 2024 su Nature Climate Change e condotto su 130.000 persone in 125 paesi ha rivelato un sostegno quasi universale (86%) all’azione per il clima, con l’89% che desidera un maggiore impegno da parte dei governi. La maggioranza della popolazione è disposta a contribuire finanziariamente alla lotta al cambiamento climatico, con il 69% che sarebbe disposto a dedicare l’1% del proprio reddito mensile a tale causa. Questo sostegno si estende anche ai paesi più poveri, caldi e vulnerabili. Le ragioni di questo divario di percezione sono probabilmente molteplici, con il passato scetticismo e lentezza nell’affrontare il cambiamento climatico che potrebbero aver influenzato l’opinione pubblica. Correggere questa percezione erronea è cruciale, poiché gli individui tendono a contribuire maggiormente al bene pubblico se credono che anche gli altri lo facciano. Il documento sottolinea l’importanza di comunicare efficacemente il sostegno globale all’azione per il clima, anziché dare voce alle preoccupazioni di una minoranza che si oppone a qualsiasi forma di azione.