Il diritto alla salute viene definito un diritto “sociale”: “I diritti sociali – detti anche diritti di seconda generazione – mirano al miglioramento delle condizioni di vita del cittadino, comprendendo diritti di natura lavorativa, economica, sociale e culturale, quali i diritti al lavoro, alla sicurezza sociale, all’istruzione, alla casa” spiega il giurista Alfonso Celotto, docente di diritto costituzionale dell’Università “Roma Tre”, in un rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità pubblicato nel 2018, in occasione del quarantennale dell’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale.
Più in dettaglio, questi diritti richiedono azioni concrete, che comportano costi a carico della finanza pubblica: “non sono richieste di limiti al potere, ma richieste allo stesso potere di interventi protettivi. Non a caso si parla di ‘diritti positivi’. Sono inoltre “condizionati”; nel senso che dipendono quanto alla effettiva realizzazione dalle decisioni della autorità pubblica” spiega ancora Celotto.
Fino alla fine della seconda guerra mondiale, la legislazione si interessava di salute solo a fini di vigilanza e sicurezza pubblica. Fu la Costituzione per prima a sancire questo diritto, definendolo “fondamentale”, anche se solo con la legge 833/1978 che istituì il Servizio Sanitario Nazionale la situazione cambiò radicalmente, estendendo in maniera universale le prestazioni, fino a quando negli anni Novanta il legislatore è tornato a ridurre l’area della gratuità, traducendo il diritto a prestazioni in un diritto – di fatto – condizionato dalla compartecipazione del beneficiario alla spesa.
“Ora a 40 anni dal modello universalistico della Legge 833/1978 la riflessione è matura per un ripensamento, sia dal punto di vista del costo del sistema, pensando alle fonti di finanziamento, sia dal punto di vista delle competenze territoriali, per individuare le modalità più idonee a tutelare il diritto alla salute” prosegue Celotto. “Del resto, rispetto al 1978 il cambiamento non si registra soltanto a livello economico e di welfare, ma anche – e forse soprattutto – a livello sociale e culturale. Sono infatti di estrema attualità tematiche legate al dovere dello Stato di assicurare la profilassi pubblica e, in tale ambito, va ricompresa anche l’individuazione di quelle malattie la cui diffusione rappresenta oggi un pericolo per la collettività, tale da richiedere l’intervento del legislatore. Tutte considerazioni che devono tenere conto di una moltitudine di fattori, quali l’ambiente, l’inquinamento, l’alimentazione, il grado di educazione a una coscienza sanitaria, l’aumento dell’età media della popolazione”. E conclude: “Ad ogni modo, ciò da cui il legislatore non può e non deve prescindere è che la tutela del diritto alla salute deve essere assicurata a tutti i cittadini in quanto bene comune, senza distinzioni e in ogni ambito della vita, anche in via preventiva e nel rispetto della dignità e della libertà di autodeterminazione del singolo.”
Fonte: 1978-2018 Quaranta anni di scienza e sanità pubblica. La voce dell’Istituto Superiore di Sanità A cura di Walter Ricciardi, Enrico Alleva, Paola De Castro, Fabiola Giuliano, Sandra Salinetti
2018, xiv, 300 p.